I sensi di colpa, globali e personali, che affiorano in noi nel periodo delle Festività Natalizie per il modo “consumistico e pagano” in cui spesso le viviamo convergono in genere su due bersagli preferenziali: i regali ammucchiati sotto l’albero ed i più che lauti cenoni delle vigilie.
Accantoniamo per un attimo quei doni, spesso inutili, che l’opportunismo e la convenienza ci costringono a fare ed a ricevere con un sorriso forzato; dimentichiamo lo spreco del cibo colpevolmente avanzato e buttato perché sovrabbondante: se guardiamo alle usanze in sé e per sé, possiamo davvero esprimere su di loro un giudizio solo negativo?
La ricorrenza cristiana del Natale si è sovrapposta, non tutti lo sanno, alla festa romana dei Saturnali quando, in coincidenza con i giorni più brevi dell’anno, si celebrava l’arrivo dell’inverno fra le mura domestiche con lunghi banchetti, durante i quali parenti ed amici si scambiavano doni. La festa appagava l’esigenza di dare felicità e piacere alle persone care proprio nel momento in cui le intemperie invitavano a trascorrere più tempo insieme: un’esigenza indubbiamente positiva, sotto qualsiasi luce la si voglia vedere, perché un dono è anzitutto un atto di amore. Sceglierlo significa immedesimarsi in chi lo riceverà, capirne le necessità, dedicargli del tempo nostro ed infine abbellire ulteriormente il nostro gesto con l’incarto, l’addobbo, il bigliettino decorato.
Magari avessimo più tempo e più calma da riservare ai regali “veri”: riscopriremmo la gioia di farli, che a volte è persino maggiore del piacere di riceverli. Ed anche le mamme, o addirittura le nonne che dedicano giornate intere alla preparazione dei pranzi di Natale e Capodanno impegnano tempo, fatica ed attenzioni per offrire cibi gradevoli e particolari su una bella tavola ai familiari ed agli amici che trascorreranno la ricorrenza con loro: donano cioè, senza troppe cerimonie, porzioni di felicità, materiale quanto vogliamo ma comunque intensa e gradita.
Tutto questo non è da accantonare: dispiace semmai che spesso sia vissuto con indifferenza, come un rituale scontato, coperto dal frastuono della televisione o dell’abbrutimento del traffico stradale, quando sarebbe invece da gustare in modo più intimo, meno “comprato” e più partecipato, o almeno gratificando con la doverosa soddisfazione chi ha lavorato tanto dietro le quinte per regalarci momenti felici.