Ci sarà certamente capitato, nella vita, che abbiamo giudicato la cultura anglosassone ed in particolare quella americana troppo intransigente e puritana per i giudizi che dà nei confronti di chi mente, anche se ciò è per evitare un danno maggiore; se sbugiardato, per l’interessato è finita! Il principio che sottosta a tale comportamento è che chi contempla di poter mentire nella vita, per evitare di assumersi delle responsabilità, potenzialmente lo potrà fare sempre e quindi non merita fiducia.
Vi immaginate cosa sarebbe l’Italia se una tale regola fosse applicata in maniera ferrea anche da noi?
Quanti politici, quanti sindacalisti, quanti giudici, quanti artigiani, quanti banchieri, quanti giornalisti, quanti matrimoni e persino quanti religiosi si salverebbero da una tale regola?
Sarà perché la nostra religione contempla il perdono anche se ammonisce il credente “ma sia il vostro parlare si, si; no, no: quello che vi è di più proviene dal male (Matteo 5,37).
Mentire, dissimulare, omettere sono tutte azioni che discreditano i rapporti e l’autorevolezza facendo venir meno la fiducia nella persona che le adotta, ecco perché negli Stati Uniti danno tanta importanza al principio di dire sempre la verità, qualunque sia il campo in cui si istaura il rapporto: politico, matrimoniale, professionale, del consumo, dell’informazione.
Il nostro sistema, purtroppo, è più tollerante ed è in ciò che risiede una componente rilevante della crisi: la mancanza di “credibilità” dovuta alla diffidenza generalizzata che ormai regna sovrana in tutti i settori.
Nessuno è disposto a credere completamente a quello che l’altro dice e non da ora, già il mio povero nonno usava dire : “in ricchezza e in povertà la metà della metà”.
Il problema nasce da lontano da quando la nostra progenitrice Eva si fidò del serpente.
Questa diffidenza generalizzata è alimentata dalle esternazioni avventate che costantemente arrivano da più parti; certo spesso non ci si fa molto caso vista la mole di notizie che tutti i giorni i mezzi di comunicazione ci ammanniscono. Notizie lucciole, dalla vita breve, che brillano sul momento e un attimo dopo sono destinate a passare nel dimenticatoio.
Possiamo credere che Sarkozy abbia voluto la guerra in Libia e non in Siria per questioni umanitarie? Che un sindaco appena eletto riesca in cinque giorni a liberare Napoli dai rifiuti? Che Ruby sia la nipote di Mubarak? Che Santoro sia disposto a lavorare per 1 euro? Che in Italia non vi sia libertà di stampa? Che l’olocausto sia un’invenzione degli ebrei? Che la razionalizzazione delle spese nelle scuole pubbliche porterà alla chiusura delle stesse? Che spostando i ministeri al nord spenderemo meno?
La lista sarebbe troppo lunga e continuare negli esempi non aggiungerebbe nulla a quanto già ognuno di noi sa. Naturalmente tutto ciò provoca quella diffidenza che si riverbera sulla mancata coesione che un Paese dovrebbe avere specie in momenti di difficoltà perché poi si scopre che è nell’emergenza che c’è sempre qualcuno pronto a indossare i panni del cacciatore e chiedersi (ricordate la conversazione telefonica tra i due imprenditori dopo il terremoto dell’Aquila? ) “il lepre do sta’ ?”
Con la mancanza di credibilità però il Paese non cresce, i mercati si allontanano e i giovani promettenti e meritevoli pensano di cambiare aria.
Quanto tempo dovrà ancora passare prima che tutti insieme incominciamo a recuperare un pò di severità con noi stessi, prima di cercarla nei comportamenti altrui?