Per anni si è detto: il male che avvelenava l’economia di questo Paese è la mafia, nelle sue declinazioni. Certamente nessuno può negare che la malavita drenando risorse ed inquinando l’economia reale, abbia rappresentato un freno per l’Italia. Ma oggi che la crisi a messo a nudo le vere cause, sappiamo che esse sono principalmente strutturali.
Un rapporto dello scorso maggio ci dice che negli ultimi 10 anni siamo cresciuti come Haiti, lo 0,25% l’anno a fronte di un debito pubblico cresciuto del 40%, ecco quali sono i veri macigni che schiacciano ed oscurano il nostro futuro. Certo c’è il grande problema dell’evasione fiscale, di cui nessuno ormai fa mistero, al punto che anche degli operai intervenendo in una trasmissione televisiva dichiarano che lo straordinario, dalle loro parti, è uso diffuso che gli venga pagato in nero.
Con la sua discesa in campo, Berlusconi, nel 1994 non consentì ai comunisti il successo elettorale. Ci si aspettava una rivoluzione liberale che gradatamente portasse fuori, questo Paese, da una cultura social comunista che, con politiche di galleggiamento, fino ad allora si era preoccupata solo della classe dirigente tutelandone interessi e privilegi.
La nomenclatura reagì e con l’avviso di garanzia notificato al Premier durante un G7 a Napoli soffocò nella culla la possibile avventura liberale.
Dopo l’alternarsi di governi di destra e di sinistra, tutti a promettere le riforme, salvo il fatto che c’era sempre un qualche impedimento a farle, finalmente con le ultime elezioni in tanti si era convinti che fosse la volta buona, almeno stando ai numeri.
Invece l’avvilente spettacolo che ogni giorno ci è stato ammannito ci consegna a distanza di tre anni un Paese prostrato e deluso in balia di un centrosinistra che si propone paladino della questione morale tranne poi essere sbugiardato nei fatti e un centro destra abbarbicato sulle barricate a difesa della “patta” dei pantaloni del Premier:
A un certo punto avevamo sperato che l’intervento dell’Europa e della BCE fossero quella sferzata che avrebbe dato al nostro Premier la forza per un colpo di reni (in politica e non a letto diversamente bastava una pastiglietta) per imporre quelle riforme che lo avrebbero consegnato alla storia, anche a costo di essere sfiduciato. E allora sono cominciate a fiorire bozze e proposte, con il risultato che le categorie interessate e dotate di lobby formate equamente da parlamentari sia del centrodestra che centrosinistra (avvocati, farmacisti, notai, tassisti, medici, parlamentari magistrati etc.) sono riusciti a stoppare qualsiasi misura che li riguardasse mantenendo, così, irripetibili rendite di posizioni per il loro sistema corporativo.
Epilogo beffardo dell’incapacità di fare le riforme e ridurre quei costi che non possiamo più permetterci.
Ma si sa questo è il Paese da sempre propenso a non prendere di punta i problemi,dove fa scuola il modello Manzoniano: “ se uno il coraggio no lo ha, non può darselo da solo” e a noi cittadini tocca il ruolo dei capponi di Renzo sballottati e pronti per essere spennati.
Un vecchio detto diceva che alcuni preti predicavano bene ma razzolavano male. Il detto possiamo considerarlo superato visto che ormai è diventato costume comune a molti.
Servono esempi più che le parole, specie per chi dovrebbe godere della stima dei cittadini per poi poter chiedere a costoro dei sacrifici.
Figure come quella di un vecchio governatore della Banca d’Italia: Domenico Menichella, che dopo essersi dimezzato lo stipendio e liquidazione e ridotto la pensione lasciò agli eredi un opuscolo: “Come è che non sono diventato ricco”, sono soggetti per un romanzo fantapolitico.
Eppure bastava poco, un piccolo segnale. Siamo d’accordo che il mandato di un politico debba essere retribuito adeguatamente per la funzione che svolge , anche per evitare che chi non disponesse di risorse personali debba poi ricorrere a mezzi poco leciti per fare politica sul territorio, ma sul fronte delle pensioni di lorsignori certamente si poteva fare qualcosa. Completato il mandato, l’esigenze sono quelle di un comune cittadino e quindi perché non potrebbe percepire una sola pensione?
Il sistema contributivo, cioè le pensioni commisurate ad un montante di contributi accumulato dall’iscritto, è stato introdotto nel nostro Paese con Legge n. 335/95. La possibilità, quindi, per l’eletto di versare i contributi relativi al periodo del suo mandato all’Ente o l’Istituzione previdenziale di appartenenza prima della nomina. Qualora l’eletto non sia iscritto ad alcun Istituto o Cassa previdenziale vi è comunque uno speciale fondo costituito presso l’INPS (Fondo Gestione Speciale) .
Sarebbe stato troppo?