Passata la buriana politica nazionale con l’uscita di
Berlusconi e l’insediamento di
Monti a Palazzo Chigi una domanda sorge spontanea: siamo di fronte alla fine della seconda repubblica e l’inizio della terza? Il quesito è più che legittimo in quanto qui non ci sono vincitori politici, bensì solo
sconfitti. L’uscita di Berlusconi ha determinato non solo il forte ridimensionamento del Cavaliere che in più porta a casa: il rischio di
dissolvenza del
PDL, il mancato e definitivo lancio di
Alfano e la sostanziale
incapacità politica del gruppo dirigente nazionale che, per la verità, già stentava con il governo in mano figurarsi, ora, senza potere. D’altronde le varie leggi elettorali locali e la
porcata nazionale non avevano fatto altro che incrementare il livello di inconsistenza politica dell’intero quadro dirigente pidiellino sia nazionale che locale. Se a ciò si aggiunge l’incomprensibile ed improvvisa nascita di una forma di partito (con congressi ed iscrizioni di massa) uguale a quella dei partiti del ‘900, quando per 20 anni ci era stato detto sempre e comunque che un partito fatto di tessere era superato.
Sull’altra sponda l’irrisolta domanda su che cosa dovesse essere il partito democratico ovvero un partito riformista oppure antagonista, ha lasciato aperte le porte al peggior frazionismo mai visto con la creazione di ben 17 correnti (nemmeno la balena bianca ne aveva mai avute tante). Non accettando il voto a breve, che secondo gli ultimi sondaggi lo davano in vantaggio, Bersani si è accollato due pesanti oneri: il primo, immediato, quello di rinunciare a vincere le elezioni che lo avrebbero visto candidato a premier ed il secondo, a tempo, di pagare un forte dazio per i duri provvedimenti che Monti dovrà porre in campo. D’altronde per gli eredi del PCI e dell’ex sinistra dc il mini compromesso storico, realizzato con la nascita del PD, si poteva già considerare fallito allorché, accettando nella sostanza la legge porcata con l’immenso potere di decidere chi nominare alla Camera ed al Senato, aveva deciso di imbarcare l’IDV di Di Pietro.
Per non parlare del sedicente Terzo Polo che ha mostrato, in toto, il fallimento di tre presunti leaders come Casini, Fini e Rutelli. Nessuno dei tre ama gli altri due ma, viste le loro disavventure personali, non hanno potuto fare altro che mettere insieme tre debolezze. Quella di Casini che si muove con spregiudicatezza sul piano locale e nazionale adottando una politica dei due forni che mal si concilia con quanto va predicando. Quella di Fini che, convinto dai suoi pasdaran, ha dato l’assalto a Berlusconi senza riuscire ad abbatterlo e mal si è saputo destreggiare col doppio ruolo di leader di partito e terza carica dello Stato. Infine quella di Rutelli che, da leader del PD, non è riuscito a portare con sé che poca roba e che solo l’invenzione del terzo polo gli ha ridato un minimo di visibilità.
Su questo quadro di fondo e con la crescente irritazione dell’elettorato tutti loro dovranno fare i conti, per cui sarà difficile dimostrare in campagna elettorale che la raccogliticcia accozzaglia di soggetti buoni solo a litigare in tv possa riproporsi per chiedere di governare. Governare non significa, da un lato, dare del comunista agli avversari e, dall’altro, gridare al mondo che è solo Berlusconi il problema. La maggior parte dell’elettorato ha compreso che per governare bisogna avere cultura di governo e questa la si ottiene facendo crescere la futura classe dirigente e non proiettandola, sic et simpliciter, ad assessore, a governatore o a deputato. L’iniezione di forti dosi di liberalismo in un Paese come l’Italia che ha sempre concesso di far sopravvivere ad un’infinita quantità di corporazioni è l’unica risposta in grado di consegnare ai giovani una Nazione vera che possa quindi dare speranza. L’ottimismo lo si stimola dando prospettiva, soprattutto quando c’è da stringere la cinghia. Ma la cinghia la si stringe solo se la società intravede una prospettiva altrimenti c’è solo il bieco qualunquismo che si scaglia contro l’untore di turno.
Un’ultima considerazione storica: il bipolarismo non esiste! E’ un’invenzione della seconda repubblica che ha dimostrato tutti i suoi limiti. Esiste ed è prospero, invece, un bipartitismo europeo con due partiti molto forti: il popolare ed il socialista, con la presenza di un radicato partito liberale ed una sinistra massimalista. Il popolare è ad ispirazione moderata e cattolica ed il secondo è gradualista e riformista. La grande illusione di saltare anche questa conclamata realtà politica e storica che vale ovunque in Europa meno che in Italia è stata la classica scorciatoia da parte della seconda repubblica per giustificare e non scoprire la loro totale inessenza. Per cui rottamiamo tutto e prepariamoci all’avvento della terza repubblica con la quale ridare vigore e forza all’Italia.