Chi, avendo già superato gli anta può asserire in tutta sincerità di non aver mai usufruito, direttamente o indirettamente, di un qualche privilegio o contributo a carico della collettività? Oggi tutto ciò ha un nome: debito pubblico.
La storia comincia ad assumere aspetti preoccupanti intorno agli anni 70, quando in questo Paese è cominciato a crescere in modo esponenziale.
Tutto comincia qualche anno prima con le grandi manifestazioni meglio conosciute come il “68”. In quella occasione, si reclamavano diritti sacrosanti ma i sindacati riuscirono, sull’onda dell’emotività, a strappare condizioni superiori di qualche punto rispetto alle reali possibilità economiche del momento.
Inizia in questo modo l’azione lobbistica che una parte politica porta in parlamento, tutelando oltremodo la sua base elettorale.
Da quel momento nessuno ha più resistito ed è stato un fiorire di iniziative tese ad ingraziarsi i propri elettori per accrescere il consenso politico.
Ciascun partito ha cercato, in ogni modo, di attirare ed allargare la sua base elettorale. Iniziano cosi le gigantesche infornate nel pubblico: Poste, Alitalia, Rai ed Enti, più o meno inutili, erano il terreno preferito dai politici per le loro scorrerie assuntive. Quando ciò non bastava ecco le pensioni baby, la Cassa del Mezzogiorno, i contributi alle imprese, alla stampa, agli organismi di cooperazione, ai più recenti contributi per le quote latte piuttosto che per la vendemmia verde. Quando serviva diversificare ecco le grandi e incompiute “cattedrali nel deserto” di cui il comune di Giarre è la capitale, la difesa degli ordini professionali, la cassa integrazione supplementare. L’elenco sarebbe lungo e potremmo continuare all’infinito. Il concetto restava lo stesso in un Paese cattolico in cui la solidarietà è uno stile di vita: contributi per tutti!
In questo bengodi potevano restare immuni coloro che lo assicuravano? Certo che no! ed allora giù con tutti i privilegi che in quest’ultimo periodo sono venuti alla ribalta. Era un sistema che si reggeva sulla spesa pubblica e sui pagherò che avrebbero dovuto onorare le future generazioni. Un Paese cresciuto con gli anabolizzanti, piuttosto che a pasta e fagioli e che ad un certo momento inevitabilmente ha mostrato la sua debolezza strutturale.
Non ci è più consentito di poter vivere sopra le nostre possibilità, ricevere più di quanto abbiamo accantonato nella nostra vita lavorativa, salvo qualcuno che ancora si ostina a ritenere un diritto percepire quello che non ha mai versato, come l’On. Maurizio Grassiano, il quale chiede che gli vengano restituiti i soldi da lui versati in questi tre anni e mezzo perché dal prossimo anno, con le nuove regole, non avrebbe diritto alla pensione.
Adesso se con qualche sacrificio dobbiamo alleviare il peso alle future generazioni è più che condivisibile qualche ristrettezza, tenuto conto che, chi più chi meno, siamo noi gli artefici del debito, resta da capire come.
Inutile negare che aspettiamo con fiducia i provvedimenti del messianico Monti. Inutile negare che con il silenzio comunicativo di questo governo e con le diverse congetture apparse sui giornali, siamo preparati alle peggiori misure. Quello che sarebbe intollerabile è che tutto si risolva nell’aumento di tasse, magari con un nome diverso, per i soliti noti all’Agenzia delle Entrate. No! Questa sarebbe un’altra delusione, dopo la mancata rivoluzione liberale promessa da Berlusconi. Non serviva scomodare dei tecnici per delle banali tasse. I signori politici potevano sporcarsi le mani e metterci la faccia per fare ciò, visti i compensi che percepiscono.
Monti continuerebbe a socializzare il consenso, se non interviene sulle cause e i privilegi che ci hanno portato fin qui. Aspettiamo dunque di capire cosa intenda il Professore per: equità e rigore, o se anche lui faccia parte del “circolo dei gattopardi” ed altro non è che il salvatore della classe politica incaricato da chi ne è la massima espressione.