L'Attualitā di Andreotti
Di Admin (del 14/01/2012 @ 15:38:42, in Parliamo di...)

Tra le frasi più conosciute attribuite a un grande politico, di cui oggi ricorre il 93 compleanno (auguri!) vi è quella secondo cui “a pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”. In effetti sembra che la paternità della frase non sia di Andreotti ma del Cardinale Mazzarino alla corte di Francia, però, chiunque ne sia l’autore, è la sua attualità che ce la fa tornare in mente.
La valutazione, a ribasso, che Standard&Poor’s ha fatto ieri di 9 Paesi europei lascia qualche perplessità. Passi per la Francia, il cui declassamento annunciato da tempo, arriva in ritardo e serve a smorzare quel sorriso sfoggiato da Sarkozy quando era l’Italia ad essere nel mirino speculativo. Adesso che tra sei mesi dovrà ricandidarsi , la voglia di ridere gli sarà passata; resta il suo rammarico per non aver letto bene la situazione che si stava delineando, ma tutto ciò non lenisce lo sconcerto per la doppia bocciatura dell’Italia.
Non si tratta di reagire e prendersela con gli USA o con le agenzie di rating che, trattandosi di società private fanno i loro guadagni a scapito dell’interesse pubblico, ma semmai con la miopia della politica che non è riuscita ad affrancarsi e a rilanciare alle prime manifestazioni di attacco speculativo mondiale. Sorridere o essere intransigenti senza capire che bisognava da subito fare quadrato e difendere senza indugi le posizioni più a rischio, ha innescato un processo molto pericoloso i cui costi finali ancora non li sappiamo.
In fondo si è verificato quello che tutti i giorni si verifica in natura, felini (speculatori) che attaccano la mandria di erbivori (debito pubblico), isolano il più debole e procedono al fiero pasto; fino al prossimo attacco, divide et impera e gli scampati contenti di averla fatta franca.
In queste condizioni, se non si interviene risolutamente, i danni permanenti che si potrebbero verificare per l’economia del vecchio continente sono enormi.
Se nello sviluppo ogni Stato è, giustamente, in concorrenza con l’altro perché la torta “mercato” è sempre la stessa, sul piano della moneta condivisa (finanza) non possono esserci politiche solitarie o nazionali.
L’Europa in questa occasione ha dimostrato di essere guidata da “nani” francesi  e “ballerine” tedesche e con questi presupposti gli speculatori ci vanno a nozze.
Ma torniamo alle cose di casa nostra. Non si capisce perché il declassamento dell’Italia avviene quando il Paese con il nuovo governo aveva cominciato a intervenire sulle criticità che S&P, lo scorso 19 settembre avevano indicato come fattori di debolezza: il pareggio di bilancio e misure a favore della crescita.
Le nuove motivazioni che accompagnano il declassamento sono incoerenti e appaiono fortemente strumentali, in un momento in cui l’Italia si appresta a dover rifinanziare la maggior parte del suo debito pubblico. Il danno causato da simili giudizi può innervosire i mercati, specie quelli oltreoceano, che ancora influenzati da certa stampa, sempre pronta a rappresentarci come avvezzi al malcostume, poco si fidano della serietà delle politiche messe in campo, specie i grandi investitori istituzionali come i fondi di pensioni o quelli assicurativi che, non potendo investire per statuto in prodotti valutati poco sicuri, si tengono alla larga, creando così, difficoltà al Tesoro che si appresta a rinnovare un quantitativo significativo di titoli di Stato. In altri termini l’azione di S&P sarebbe delittuosa se innescasse un principio di default senza reali presupposti, anche se crediamo che a loro insaputa abbiano rafforzato l’azione del governo sul fronte delle liberalizzazioni: diventa difficile per qualsiasi forza politica tutelare i privilegi dell’elettorato di riferimento.
Facciamo peccato se crediamo che S&P, Moody’s etc., di cui spesso non si conosce nemmeno chi ne tira le fila, rappresentino il più grosso conflitto d’interessi ricavando profitti dai loro giudizi e che stando a quanto dichiarato  all’ex capo di S&P, Sharma, “non vanno presi sul serio”?
Penseremmo male se tutto ciò servisse a far rientrare dalle perdite, a spese nostre, gli investitori che si erano fidati della tripla “A” assegnata da Standard&Poor’s alla Lehman Brothers, pochi giorni prima che fallisse, quando doveva collocarla 15 posizioni sotto, cioè  in “D”?