Forse più che di economia dovremmo parlare di faccia violenta della finanza. Già perché ai nostri giorni ciò che fa girare il mondo più che l’economia, quella che una volta si basava su cose prodotte e riserve auree, oggi è la carta stampata prodotta dalla finanza, a dettare le regole. Mentre una volta era “Il Padrone”, soggetto chiaro e identificabile, a stabilire a quale buco doveva fermarsi la cinta dei lavoratori, oggi, in un’economia globalizzata sono gli anonimi “mercati”.
Se una volta si discettava di etica del lavoro, diritti dei lavoratori, norme di sicurezza e sanitarie, oggi l’indeterminatezza della finanza sta trasformando tutti in prestatori di una funzione senza anima e identità. Il meccanismo infernale che abbiamo messo in piedi non può più fermarsi e per stare in piedi deve continuare a crescere alimentandosi di sogni spezzati, certezze infrante, soprusi, ingiustizie e vessazioni.
Non è per paura di competere o di mettersi in discussione ma consapevolezza di partecipare a un gioco con dei dadi truccati e cui perdono, sempre, gli anziani e i più deboli. Costoro infatti sono sempre più considerati intrusi da allontanare, perché non più in grado di alimentare il sistema ma anzi di esserne un freno, un concetto, questo, già teorizzato dal nazionalsocialismo.
Il governatore della BCE, Mario Draghi, ci ha ricordato, qualche giorno fa che, gli Stati possono fallire perché non esiste un garante di ultima istanza e che non è più possibile assicurare lo stato sociale così come lo abbiamo conosciuto. Le nuove regole scritte dalla globalizzazione prevedono il pareggio del bilancio di un Paese e dunque politiche oculate. Bene ma come possiamo partecipare alla gara se anziché fornirci scarpette da corsa ci hanno vestito con uno scafandro da palombaro? La mole del debito pubblico che continua ad essere generato dalla pubblica amministrazione, in tutti i suoi aspetti e componenti, è inarrestabile nella sua crescita, non è mai sazio dei sacrifici imposti ai contribuenti (adesso anche in termine di vite umane) e pur di continuare a mantenersi ben pasciuto, rifiuta a priori qualsiasi dieta.
Prendiamo la questione dell’art. 18 che, per accontentare un sindacato, nella nuova formulazione non toccherebbe gli statali. Ma come, Draghi ci dice che gli Stati possono fallire e noi non possiamo chiudere un Ente diventato improduttivo o antieconomico?
Follia continuare a tenere l’Ente Nazionale per la Cellulosa e la Carta (Encc) che doveva già essere stato chiuso nel 1994.
Noi pensiamo che i lavoratori pubblici e i loro sindacati perderebbero un’occasione, se si opponessero all’introduzione del licenziamento per motivi economici quando sono già in vigore normative che lo consentono per altri motivi. Una tale normativa li renderebbe più forti nel controllo, infatti non sarebbe più consentito ai politici di turno di usare le amministrazioni come uffici di collocamento. Se il rischio è che il possibile squilibrio economico metterebbe a repentaglio il loro posto di lavoro, certamente costoro sarebbero molto vigili sulle nuove assunzioni, che ad oggi avvengono a iosa. Controllo che si estenderebbe anche nei confronti dei loro sindacalisti garantiti dall’attuale sistema spartitorio.
Come si possono dunque chiedere virtuosismi, sacrifici e fiducia se su qualsiasi tema si resta al prologo, quello rivolto agli esclusi delle caste, mentre per tutti gli altri le cose restano invariate, o tutt’al più le norme entreranno in vigore tra qualche anno, giusto il tempo per poterci ripensare?
Fermate tutto, voglio scendere!