Ricostruire l'Italia
Di Maradona (del 19/07/2012 @ 14:33:20, in Parliamo di...)
Cosa fare per l’Italia per risollevarla economicamente, socialmente e culturalmente dalla critica stagnazione in cui è precipitata negli ultimi 20 anni? Questo è l’interrogativo cui tutti siamo chiamati a dare delle risposte. Per prima cosa bisogna optare per l’economia reale quella, cioè, che investe in know how e capitali e crea lavoro, profitto e sviluppo e si tocca con mano per la capacità di tirar su beni materiali ed è l’unico modo per far la guerra a quell’altra, l’economia finanziaria che fa vivere di rendita pochi ed affama i molti. A tal riguardo risposte concrete ed operative che possano farla ripartire ce ne sono molte, ma per non perderci nei meandri oscuri di proposte ideali e non empiriche potremmo partire da tre settori: cinema, calcio e turismo.
La mitica figura di Vincenzo Ascalone nel cinema ci potrebbe dare, da sola, un contributo elevatissimo sul piano culturale ed economico. Questo personaggio interpretato dal mitico attore catanese Saro Urzì è il personaggio chiave dei film della nostra commedia, Divorzio all’italiana di Germi, che costavano relativamente poco ed incassavano tanto, in una proporzione di 1 a 40. Allora il cinema era, contemporaneamente, un’arte sublime ed un’industria altamente redditiva. I film li facevano i produttori veri come Mario Cecchi Gori, Marina Cicogna, Franco Cristaldi, Dino De Laurentiis, Carlo Ponti, Angelo Rizzoli ecc. che non cercavano finanziamenti pubblici, ma si riproponevano di trovare una buona sceneggiatura per trasformarla in un film che avrebbe incassato molto di più dell’investito ed avrebbe dato lavoro ad un’infinità di soggetti, dagli sceneggiatori alle maschere dei cinema di periferia. Per non parlare dei tecnici di studio e dei trovarobe che, da mattina a sera, erano impegnati a trovare oggetti per le scene da girare all’indomani. Il film italiano si vendeva in tutto il mondo ed alimentava sia l’aspetto culturale che quello economico, essendo nelle prime posizioni nelle esportazioni. Come se non bastasse il loro ottimo andamento economico consentiva di produrre film impegnati a registi come Fellini e Pasolini che, altrimenti al botteghino, non avrebbero coperto neppure i costi. Oggi non c’è quasi più il cinema italiano, per cui doppia sconfitta, sul piano culturale e su quello economico. Per seguire una moda da minculpop ci siamo affidati a presunte anime candide che dopo aver processato, per anni, il cinema cosiddetto commerciale l’hanno distrutto per intero. Sì perché per questi signori il film che incassa molto non è buon cinema. E, poco alla volta, hanno fatto in modo che i veri produttori se ne andassero da questo strano Paese e che non lasciassero eredi per continuare. Siamo così passati ad una cinematografia cosiddetta di qualità che, stranamente, non va a vedere nessuno e che si serve, per intero, del finanziamento pubblico. Risultato: estinzione economica di una grande industria e zero valore culturale. Per dirla tutta è come se ad Hollywood avessero fatto la stessa operazione che l’India, per prima, si è ben guardata dal fare infatti ha fondato Bollywood che esplode letteralmente di produzioni. Nel mentre i nostri sedicenti esperti critici cinematografici hanno raso al suolo le capacità produttive e culturali di Cinecittà che è, ormai, morta. Siamo fermamente convinti che fra i nostri ragazzi ci sono diversi Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, Giuseppe De Santis, Michelangelo Antonioni, Dino Risi, Luigi Comencini, Sergio Leone e Damiano Damiani. Ma per farli emergere bisogna cacciare dal tempio questi presunti registi, attori e critici che aspettano solo di poter pompare danaro dai contribuenti per le loro insulse opere.
Se nel turismo si consentisse agli operatori del Tirreno tutto di poter fare quello che è stato consentito di fare sulla costiera romagnola con un’infinità di strutture portuali, piscine, ristoranti, locali notturni, alberghi, scivoli d’acqua e stabilimenti balneari dovunque, pensiamo che si risolleverebbero le sorti di molte regioni. Invece non consentono di fare nulla perché una volta si altera il paesaggio, un’altra si estingue la pianta di turno, un’altra ancora si cementifica e così via. La domanda è ma come faranno a risollevarsi economicamente e socialmente regioni come la Campania, la Lucania, la Puglia, la Calabria, la Sicilia e la Sardegna se non si consentirà di avere infrastrutture, strutture e divertimenti all’altezza del turismo del 21° secolo? Invece: NIET!!!!!!!!
Terza opportunità il calcio che potrebbe dare tanto ma che è confinato in strutture fatiscenti che non sono più utilizzate dai clienti. Ed allora facciamogli costruire questi benedetti stadi nuovi senza incidere sulle casse pubbliche con finanziamenti esclusivamente privati. Strutture degne di questo nome come in Inghilterra, Spagna e Germania dove si può fare shopping, mangiare, dormire, vedere un film e tant’altro. Ed invece anche qui: NIET!!!!!!!!!!!
E L’UNICA RISPOSTA E’ SEMPRE LA STESSA: I PRIVATI LO FAREBBERO PER SPECULARE.
Ma quali anime candide possono mai pensare che chi investe non debba guadagnarci? Ed allora eccole le vestali dell’anticapitalismo galoppante pronte a stabilire quale sia la percentuale giusta di guadagno sugli investimenti. Se non usciremo al più presto da questa fobia per cui nulla si tocca moriremo nel senso letterale del termine. (continua)