I poeti sono benvenuti
Di BlackCat (del 21/02/2013 @ 11:05:07, in Parliamo di...)
Capita a volte che, nel risistemare vecchie carte, salti fuori un ritaglio di giornale che hai conservato. Il titolo dell’articolo attira ancora l’attenzione: “Non lasciamo l’Europa ai banchieri”, la firma è di pregio, quella di: Tiziano Terzani.
Si tratta di un’intervista ad un capitano d’industria, ormai scomparso, che inizia parlando dell’Europa
“Siamo gestiti più o meno bene con criteri puramente economici definiti dal trattato di Maastricht. Ebbene dieci banchieri centrali hanno fatto quel trattato e l’unico scopo della politica ora è rispettare quel trattato. Toccherebbe a dei politici veri con la “P” maiuscola, proporre nuove idee, nuove soluzioni. Ma quelli non ci sono”. “Mitterrand è stato l’ultimo dei grandi, ma non ha lasciato successori”. E dove bisogna cercare i grandi di domani? La risposta è tranchant: “ certo non fra i numeri due e tre della vecchia generazione. I nuovi leader non sono lì. Inutile cercarli. Ormai bisogna fare un salto di generazione. I nuovi grandi emergeranno tra la gente in modo nuovo e con visioni nuove, tra i quarantenni.
Lì c’è gente che ha principi, che ha propositi”.
Veniamo al ruolo dell’industria. “Non posso accettare che l’ultimo scopo dell’industria sia quello di fare soldi. Fare profitti è importante perché garantisce il futuro, pero sono convinto che il ruolo dell’industria sia anche quello di migliorare la società, di aiutare le persone mettendo a loro disposizione prodotti e servizi che migliorano la qualità della loro vita. Al limite, forse questo è più importante che il semplice produrre profitti”. E continua “Uno dei ruoli del mondo industriale deve essere quello di fare cultura. Di questo ne sono convinto e purtroppo oggi non ci son molte aziende che lo fanno”. E se la società prossima ventura assomigliasse a Singapore? “Se la città del futuro è davvero Singapore è bene rendersene conto, conoscerla. E’ bene capire cosa vuol dire una società retta da criteri economici in cui i poeti sono benvenuti”.
Quale è l’ostacolo ad un più significativo ruolo internazionale dell’Italia? “E’ il non avere alle spalle un sistema credibile. Tutti ci trovano simpatici, tutti ci vogliono bene, però quando si tratta di fare quello che abbiamo promesso deludiamo tutti, sia sul piano personale sia su quello politico. Siamo degli incantatori di serpenti. Perché non abbiamo un senso di unità e scuole che insegnino la fierezza di essere italiani. Quando ero negli Usa e giocavo a calcio per la mia scuola, prima di ogni partita suonava l’inno nazionale e tutti con una mezza lacrimuccia negli occhi eravamo fieri d’essere americani. Ho fatto le elementari al San Giuseppe di Torino, ma la sola idea, prima di un qualsiasi incontro sportivo, di mettersi con la mano sul cuore a sentire l’inno di Mameli era inconcepibile”.
Era il 10 luglio del 1996 e a parlare era un giovane erede della dinastia Fiat: Giovannino Alberto Agnelli, scomparso prematuramente a soli 33 anni.
I due si confrontavano a Nuova Delhi. Sono passati diciassette anni e l’attualità dell’intervista è sconcertante perché dobbiamo accettare che mentre l’India ha progredito, inserendosi tra le principali economie del mondo, gli incantatori di serpenti sono rimasti solo nel nostro Paese.
Non ci resta che aspettare i poeti, forse loro sapranno darci un sogno in cui credere.