La pretesa di possedere una superiorità morale e culturale, per diritto di appartenenza, oltre che essere poco cristiano è innanzitutto poco liberale. Rispecchia un’ottusa dogmatica visione che non accettando un pensiero difforme dal proprio afferma la negazione dell’altro. Esattamente come si comporta un omofobo o un assertore della “razza ariana”.
E’ certamente una prassi molto in voga nei Paesi totalitari a tolleranza zero, tuttavia se ne riscontrano tracce anche in alcuni Paesi che si annoverano tra quelli democratici liberali come il nostro.
Prendiamo ad esempio quanto si sta verificando a seguito del risultato elettorale. Tre forze quasi si equivalgono, una vorrebbe governare da sola, una vorrebbe governare con quella che vuole governare da sola perché l’altra è ritenuta impresentabile. Le prime due si ritengono depositarie del supremo ordine morale salvo poi, costatata l’impossibilità che le loro aspirazioni a candidarsi nella guida del governo pur non avendone l’investitura popolare, si scontra con i numeri. Per superare l'impasse una di queste decide di chiedere alla terza forza, “l’impresentabile” ,di favorire con un escamotage (assentarsi dall’aula) il via libera ad un Governo di minoranza. Per intenderci gli chiedono di tradire il mandato dei loro elettori che li ha eletti per rappresentarli fisicamente in Parlamento .
Noi non sappiamo dire se la definizione di “impresentabile”, affibbiata al solo scopo di imporre una sudditanza psicologica alla componente politica che ha avuto il torto di essere andata oltre le aspettative sia una sufficiente motivazione, o se invece sia più impresentabile quella forza politica che per perseguire un proprio progetto chiede , ad un’altra forza politica, di tradire il mandato elettorale. Di una cosa siamo certi, se costoro accettassero, allora si che lo diventerebbero.
Da questa prima pretesa ne consegue un’altra, sostenere di voler varare un governo di cambiamento e per far ciò si propone di realizzarlo inspirandosi a vecchi percorsi: l’astensione costruttiva. In cosa consista poi il cambiamento a questo punto è difficile capirlo, specie se si tiene conto del monito che viene dalle urne: verità, trasparenza, responsabilità e innovazione. Il modello, proposto, dovrebbe essere quello dell’ormai lontano 1976 del governo Andreotti; vi è però un diverso approccio, mentre Andreotti è conscio “..si è confermata l’attuale impossibilità di formazione di una maggioranza precostituita e al contempo il grave danno che comporterebbe il protrarsi di uno stato di “vacatio..” definiva la nuova esperienza: “un governo programmatico di servizio” . Bersani accompagna la sua richiesta con una pregiudiziale: “ non è vero che siamo tutti uguali e non è questione di una sola persona”, con questi presupposti la pretesa sembra proprio assurda.
Dobbiamo però tener conto che questi comportamenti sono molto più diffusi di quanto si immagina. A cominciare da tutte quelle categorie che della pretesa hanno fatto una ragione di vita: giornalisti, sindacalisti, politici, farmacisti, notai, tassisti, magistrati, editori, professori; e se tutto ciò non bastasse possiamo scendere alla quotidianità, la pretesa del posto fisso, di quello a tempo indeterminato a prescindere dall’impegno profuso, della sanità gratuita per tutti, dall’assegno di cittadinanza, insomma un rosario da sgranare.
Ma perseverando su questa strada il Paese non rischia di annegare nel mare delle pretese?