Di merito si può morire
Di Catone (del 08/11/2013 @ 16:49:00, in Parliamo di...)
Si fa presto a dire che la nostra dovrebbe essere una società meritocratica.
Se si fosse veramente d’accordo che per uscire dal declino economico, sociale, civile bisognerebbe valorizzare il merito e le competenze, allora si dovrebbero mettere in campo politiche conseguenti a cominciare dagli investimenti che, in un mondo sempre tecnologico,  non dovrebbero essere meno del  3% del Pil da destinare in ricerca, cultura e innovazione sempre che si voglia competere con il resto del mondo industrializzato
Ma non è così. Il più grande patrimonio culturale è trascurato mentre potrebbe essere una grossa fonte di ricchezza; la ricerca non gode di quelle agevolazioni e attenzioni che ha negli altri Paesi, ed i nostri migliori cervelli sono costretti ad espatriare; l’innovazione è avversata dai burocrati perché perderebbero il loro potere discrezionale; la scuola, infine, un po’ per gli operatori un po’ per le politiche dei governi sforna universitari con competenze paragonabili ad un liceale Giapponese.
Anche senza copiare il sistema americano che valuta tutto dalle università agli insegnanti ed assume e licenzia in base a classifiche pubbliche che misurano il lavoro svolto e risultati ottenuti, in Italia qualunque tipo di valutazione è tabù.
La riprova qualche giorno fa con i 41 miliardi che, in base ad un lavoro di valutazione svolto dall’Anvur, si sarebbero dovuti distribuire come risorse aggiuntive ai singoli atenei, ma non se ne fatto nulla proprio perché rispondevano a criteri di valutazione.
 
Vi è negli italiani e nella sua classe dirigente un’opinione visceralmente negativa verso l’eccellenza e la competenza.
 
A parole tutti sono per il merito, ma quando si propone di valutarlo usando criteri oggettivi la musica cambia. Del resto accettare, l’oggettività, in tema di metodi di ricerca è l’aspetto più contrastante , esso ha in sé un tratto peculiare  comune alla maggioranza degli intellettuali “colti”: ne hanno ribrezzo.
 
Una nuova classe politica che sappia valorizzare il ruolo delle élite innovative che, spazzando via quei carrozzoni inzeppati di familismo e ipocrisia, faccia partire quel “capitalismocognitivo” che coltivando l’eccellenza scientifico culturale sia in grado di attuare quella rivoluzione sociale che porti il Paese ad un maggiore senso civico, più libertà economica e ad una maggiore efficienza dello Stato.
 
Non si potrà agganciare nessuna ripresa senza un cambiamento capace di recuperare rapidamente le condizioni di base che contraddistinguono un Paese moderno, oppure accontentarci di morire per merito.