Nel marasma generale di notizie e voci –accusa di terrorismo, pena di morte, missione parlamentare congiunta, torneranno sì, torneranno no- che si alternano in queste settimane sulla sorte dei due sottufficiali di Marina prigionieri da ormai due anni in India con la benedizione dello Stato italiano, immaginiamo che in un giorno qualunque un cittadino qualunque voglia esprimere la sua solidarietà con loro manifestando (proprio come fanno i cortei sindacali, i no-global e il gay pride) davanti alle Pubbliche Istituzioni. Come può farlo e cosa gli accadrà?
Il nucleo più facile di aggregazione fra coloro che condividono un’idea è sicuramente un social network: così ad esempio si può lanciare un invito su Facebook, agganciare chi la pensa come noi (reale o virtuale che sia poi la sua identità, questo è tutto da appurare) e stabilire luogo e orario per esternare le proprie convinzioni in modo civile ma evidente. E qui si passa dalla teoria alla pratica, il che equivale a dire dalle perfezione alle magagne.
La prima realtà da scontare è che non può esistere in Italia una manifestazione non politicizzata: così sul luogo dell’appuntamento si trova puntuale un arringatore “appartenente a” che non era in preventivo, armato di megafono e volantini e pronto a fare suoi i presenti, che cominciano giustamente a svicolare via.
La seconda è il fatto che le Forze dell’Ordine –cui sfuggono agevolmente i delinquenti professionisti di ogni formato- hanno invece occhi e orecchie sensibilissimi per spiare e “placcare” il privato cittadino in qualunque sua iniziativa ufficiale. E così chi pensava, il 26 Gennaio scorso, di poter liberamente sfilare per le vie di Roma per palesare il proprio dissenso davanti all’ambasciata indiana, ha trovato già fin dal punto di raccolta cordoni allertatissimi di Polizia e Carabinieri. Provvedimenti anti sommossa, hai visto mai….
Non si trattava di black block, né si studenti ribollenti di giovanili ardori, bensì di qualche decina di pensionati delle Forze Armate e dei loro familiari, tutti rigorosamente sopra la cinquantina: pericolosi dissidenti, potenziali provocatori, sabotatori dell’ordine pubblico. Temendo l’urto devastante dello sparuto manipolo è stato addirittura bloccato l’accesso a via XX Settembre: “La situazione può sfuggire di mano, non si sa dove si va a finire….” ha detto il giovane Carabiniere graduato a chi avanzava il diritto di percorrere una pubblica via, imponendo addirittura l’identificazione con tanto di consegna del documenti di riconoscimento in modo tutt’altro che garbato e cortese. Si sa, gli ordini sono ordini: un’efficienza eccezionale, degna di ben altro Paese.
Ancor più patetica, pretestuosa e persino ridicola la scusa opposta a chi ribadiva di voler almeno vedere l’ubicazione dell’inavvicinabile ambasciata: “Oggi è la festa nazionale dell’India, si indisporrebbero vedendovi”. Siamo in casa nostra, manifestiamo per i nostri uomini ma non possiamo alzare la voce, perché gli Indiani ne sarebbero indispettiti, e magari gli rovineremmo il party e le tartine. Poverini!
E così, alla faccia delle miserevoli e menzognere esternazioni di buona volontà rimbalzate da Monti a Letta, da Terzi a Bonino, da Di Paola a Mauro, la verità inconfutabile è che allo Stato italiano interessa soltanto gettare acqua sul fuoco, che i due militari prigionieri sono assolutamente spendibili e che ben altri sono gli interessi da tutelare laggiù, mentre qui la Pubblica Autorità minaccia e sanziona chi rischia di accorgersene.
L’unico pericolo che davvero teme l’Italia sono gli Italiani pensanti. Provare per credere!.