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Aiutiamo i giovani a dare un calcio alla cicuta
Di Maradona (del 21/06/2012 @ 22:30:01, in Parliamo di...)
La Corte dei conti fu istituita agli albori dello Stato unitario (legge 14 agosto 1862, n. 800), perché vigilasse sulle amministrazioni, così da prevenire ed impedire sperperi e cattive gestioni. In questa funzione, la Corte dei conti assunse la veste di una "magistratura", essendo emersa - secondo la storica affermazione di Camillo Benso conte di Cavour la "assoluta necessità di concentrare il controllo preventivo e consuntivo in un magistrato inamovibile".
Alla fine del secondo conflitto mondiale nella Carta costituzionale fu scritto il testo cardine che scarno e vuoto com’è ha consentito e consente, tuttora, di aver reso farraginoso e anche inefficace uno strumento che, se ben utilizzato, avrebbe tagliato la testa a corruttele e sprechi attraverso una responsabilità penale e, soprattutto, economica da parte di chiunque si fosse appropriato o avesse sprecato il denaro dei contribuenti. Nello specifico a risarcire col proprio patrimonio personale il pubblico dipendente o l’amministratore eletto che avesse abusato o errato nell’uso del danaro pubblico. Invece assistiamo alla trascrizione di pareri di legittimità lunghi e complessi che curano e badano la forma, ma della sostanza i quattrini poco o nulla si occupa.
Mentre si realizzano tagli alle pensioni, si aumentano gasolio e benzina, ci dimentichiamo di 490 milioni. Un tesoro, per l’appunto visti i tempi di magra. Parliamo delle condanne della Corte dei Conti rimaste sulla carta. Centinaia di milioni di sanzioni inflitte a chi ha provocato un danno allo Stato: cittadini, dipendenti pubblici, imprese. Le casse pubbliche ne hanno diritto e però restano a bocca asciutta senza incassarle. Teniamo a distinguere qui i due aspetti del problema: il primo sono i miliardi di euro di danni causati e non richiesti e, dall’altro, pur nell’esiguità dell’importo (490 milioni di euro) non si riesce ad incassarli. “In relazione alla massa dei residui attivi formatisi … si segnala che nel 2008 la consistenza complessiva dei crediti non riscossi era vicina ai 490 milioni. La quota più consistente era allocata nei capitoli gestiti dai dipartimenti del ministero dell’Economia oltre a quelli, pure cospicui, del Ministero della Difesa, della Giustizia e dell’Interno”. Così segnalava Mario Ristuccia procuratore generale nel 2009 e le autorità competenti erano tutte lì sedute ad ascoltare la relazione ma, molto probabilmente, con la mente impegnate in tutt’altre faccende.
Ma come è possibile tutto ciò? La risposta è scoraggiante nella sua semplicità: adesso è previsto un termine di dieci anni per recuperare il denaro. In tal modo una parte dei crediti passa in cavalleria. Il rimedio potrebbe essere che l’esecuzione, invece di essere affidata alle amministrazioni danneggiate, potrebbe essere lasciata alle Procure della Corte dei Conti. Lo Stato non è un creditore capace. Ci sono i pignoramenti, ma anche gli eventuali sequestri rischiano di arrivare quando ormai i beni sono stati nascosti. Con la normativa e la giurisprudenza attuali al massimo si può pignorare un quinto dello stipendio. Qui lo Stato si dimostra di nuovo benevolo: prendiamo il caso di un funzionario colpevole di peculato e per questo licenziato. Le Corti dei Conti più di una volta hanno puntato sulla liquidazione. Ma niente da fare. Il dipendente pubblico che ha truffato lo Stato ha diritto al trattamento di fine rapporto. Al massimo decurtato di un quinto. Tante garanzie per i debitori, poche per il creditore, lo Stato e i cittadini. Per non parlare, poi, dei pubblici amministratori. In conclusione solo uno Stato che sappia essere forte ed efficace può dirsi degno di chiamarsi con tale nome. Ma, forse, il bicchiere di cicuta non l’abbiamo bevuto fino in fondo. Forse, dovremo ancora attendere che le risate di un comico alla guida del Paese sotterrino tutti.
 
        

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