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"Dalle Baronie ai Comuni"
Di Lupoalfeo (del 04/11/2010 @ 15:30:57, in Parliamo di...)
Fare delle riforme vuol dire – in Italia più che altrove – tagliare privilegi e scatenare le corporazioni la cui funzione principale è: un posto di lavoro per la vita senza controlli e verifiche, senza sottoporsi allo sforzo di quella espressione poco amata: “formazione permanente” ovvero stare al passo con i tempi ed essere all’altezza dei cambiamenti che l’attuale società richiede in tutti i campi.
La riforma dell’ università non si sottrae a questa regola.
Se da un lato si riconosce che il livello di preparazione (qualità d’insegnamento) con cui escono i nostri laureati da molti atenei è più basso che negli altri paesi, dall’altro la tutela di interessi corporativi spacciati per grandi principi fa scattare la difesa dello "status quo".
Le responsabilità che negli anni si sono sommate non sottraggono né i politici né le università.
Dagli anni ottanta, con provvedimenti tampone e successivamente con l’autonomia universitaria, sono stati immessi nel ruolo di professori: assistenti, ricercatori, borsisti e docenti incaricati. Tutti idonei all’insegnamento, in alcuni casi per titoli, tutt’al più con dei concorsi della singola università. Il tutto per tutelare gruppi di potere interni.
Si sono cominciati a moltiplicare percorsi di studii e titoli, pur di dare una cattedra in cambio di maggiori risorse da gestire e il voto all’elezioni degli organi universitari.
Vediamo allora di sintetizzare cosa propone la riforma:
durata della carica dei Rettori a soli due mandati per un massimo di otto anni; università,facoltà e dipartimenti ridotti secondo i criteri di utilità e risultati; controlli di presenza e qualità per le attività dei docenti; aiuti economici ai soli studenti “capaci e meritevoli” ; risorse finanziarie statali da destinare, almeno in parte, al livello di preparazione che ciascuna università può garantire e ai risultati;
distinzione tra il ruolo eslusivamente didattico dei Senati accademici e il ruolo manageriale dei Consigli d’Amministrazione; imporre un codice etico ed operare contro gli sprechi.
Tutte cose possibili da attuare se un Magnifico Rettore, come il Prof. Frati della “Sapienza”, anticipando la riforma ha già ridotto le facoltà da 23 a 11 e i dipartimenti da 106 a 67.
Forse qualche “professore a vita” perderà il titolo, ma non sarebbe una grossa perdita se dalla successione nelle “baronie”, si passasse alle chiamate, su scala nazionale, dei più meritevoli. Semmai una cosa ci piacerebbe che fosse introdotta, con l’entrata in vigore del federalismo fiscale, in tema di diritto allo studio, attualmente è la regione dove si va a studiare, a sostenere i costi e non quella di provenienza e dove il nucleo familiare produce il reddito. Noi la nostra proposta l’abbiamo avanzata già nel 2002 ed è contenuta negli atti del simposio che avevamo organizzato : “Il diritto allo Studio nell’Italia del Decentramento”.
sosteniamo la meritocrazia sopra ogni altra cosa e mezzi per chi ha voglia di studiare e deve lavorare per potersi mantenere agli studi se la famiglia di origine non puo'
Di
PB
(inviato il 04/11/2010 @ 17:57:51)
non voglio commentare l'articolo, ma il sondaggio.Credo che il sistema universitario europeo sia il migliore in quanto a completezza. Quello americano, magari, primeggia nel settore scientifico ma l'aspetto umanistico non regge il confronto e sono convinta che se la scienza è importante per andare avanti la cultura e le scienze umanistiche possono salvare questo nostro mondo
Di
rosa
(inviato il 05/11/2010 @ 14:42:39)
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