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Ingroia non ingoia e va avanti.
Di Maradona (del 22/07/2012 @ 16:01:26, in Parliamo di...)
Il Quirinale ha sollevato un conflitto di attribuzioni alla Corte Costituzionale contro la Procura di Palermo, questo è il fatto intervenuto improvvisamente a metà luglio 2012 ed attenendoci sempre agli empirici comportamenti fattuali ad essi ci ispireremo per dare un modesto contributo alla chiarezza e, soprattutto, alla comprensione. E’ abbastanza singolare il fatto che da alcuni anni, quattro per la verità, così come afferma in un’intervista il fratello di Paolo Borsellino: Salvatore che nessuna istituzione repubblicana presenzia alla commemorazione dell’attentato. Alla presentazione del citato conflitto di attribuzioni la sorella di Paolo Borsellino, Rita Borsellino, dichiara di essersi sentita schiaffeggiata e che “……………………non ce l’aspettavamo dal Capo dello Stato una presa di posizione così netta e grave nei confronti della Procura di Palermo nel momento in cui quest’ultima sta cercando di fare chiarezza…………..”. Parole dure e pesanti da parte dei familiari. Al di là dei favorevoli o contrari all’iniziativa presidenziale nei quali si distingue sempre il professor Onida qualche sforzo di riflessione ulteriore tocca farlo.
L’ex ministro democristiano Nicola Mancino ha messo in piedi degli atteggiamenti, le telefonate al Quirinale, che hanno senza ombra di dubbio creato grossi imbarazzi al Presidente Napolitano. Infatti nella sua lunga militanza politica e, soprattutto da vice presidente del Consiglio Superiore della Magistratura CSM, aveva sempre stigmatizzato il comportamento di quei politici che creavano ed amplificavano il ventennale e mai risolto conflitto fra politica e magistratura. Con le sue telefonate ha fatto compiere al Quirinale l’ennesimo confronto (scontro?) tra la massima autorità politica e la magistratura dimenticando che il Capo dello Stato è anche il Presidente del CSM, ovvero il supremo organo dell’autogoverno della magistratura. Nelle numerose telefonate al Colle Mancino compie un atto grave, oltre che irrituale, in quanto cerca di far valere le proprie ragioni non attraverso le legittime corsie dell’indagine giudiziaria in corso, bensì attraverso varie sollecitazioni al consigliere giuridico del Quirinale. Il caso si sarebbe sgonfiato, meglio non sarebbe mai nato se il consigliere giuridico di Napolitano avesse risposto da subito che le richieste del Mancino erano irricevibili e poste in una sede istituzionale sbagliata. In più esse riguardavano l’autonomo e libero esercizio delle prerogative di chi svolge l’attività giudiziaria, in questo caso la Procura di Palermo.
Poiché i fatti di cui si discute e che stanno all’origine dell’inchiesta vedono, oltre ad un alto numero di servitori dello Stato uccisi, anche le origini della cosiddetta Seconda Repubblica non si può non constatare che qui il gioco si fa duro e preoccupante perché, se non dovessero essere giudiziariamente identificati gli autori istituzionali che cassarono più di 300 provvedimenti di carcere duro per i mafiosi, si corre il rischio di coinvolgere tutto e tutti in questi 20 anni. Ed è empiricamente e storicamente sconvolgente che i due politici della prima repubblica il socialista Martelli ed il dc Scotti, allora rispettivamente ministro della Giustizia e degli Interni, pur essendo coi loro partiti al centro delle indagini di tangentopoli, fecero passare un provvedimento così duro come il 41 bis, mentre i cosiddetti nuovi appena insediati ne ridussero la portata col citato provvedimento prima richiamato. Ed è per questo che i due ex ministri, Mancino e Conso, sono inquisiti perché sospettati di aver mentito ai giudici e ai PM su quello che accadde in quel periodo di attentati. In conclusione non si può non evidenziare le ultime dichiarazioni del Procuratore Capo di Palermo, Francesco Messineo, il quale afferma che la trattativa fra Stato e Mafia non è, per la Procura, più presunta bensì provata.
 
 
        

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