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Il problema di scegliere, il problema di tutta la vita.  (Georges Perec)

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"Laudato si', mi' Signore....."
Di zia Manu (del 08/04/2011 @ 14:43:14, in Parliamo di...)

…..per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa….. San Francesco d’Assisi, uomo di profonda sensibilità e di grandi qualità artistiche, ha colto con poche e semplici parole l’aspetto essenziale della terra, immediato ed ovvio per tutti gli uomini dei tempi antichi: quello di madre dei viventi.

Coltivare la terra è stata l’occupazione più antica dell’uomo: la più elementare, certo, ma carica di una sua sacralità. Gesti semplici ma preziosi, tramandati di padre in figlio attraverso secoli di esperienza, per ottenere l’indispensabile da una natura generosa, ma non dominabile: il lavoro e la fatica contro il capriccio delle stagioni, contro gli imprevisti delle annate buone o cattive da cui poteva risultare l’abbondanza o la fame….un contatto quotidiano, duro ma rispettoso, con qualcosa di più grande e potente di noi, nel bene e nel male.

L’industrializzazione del mondo moderno ha svalutato velocemente questo modo di vivere, riducendolo ad un’attività di ripiego riservata a chi, per sfortuna o per mancanza di qualità superiori, non avesse nient’altro di meglio da fare; in seguito, una volta svuotati i campi e cambiate le abitudini di vita degli ex insediamenti contadini, ha riversato la tecnologia anche sulla campagna, snaturando metodi e strumenti, inquinando e ibridando ed arrivando all’aberrazione di distruggere il prodotto (cumuli di ortaggi schiacciati dai bulldozer, alberi carichi di frutta lasciata lì a marcire ed altri orrori del nostro mondo opulento) per obbedire alle regole del lucro e del mercato.

La vicenda – balzata in questi giorni alla ribalta della cronaca locale – del combattuto rinnovo del contratto di locazione per alcuni contadini che vivono sui terreni agricoli di una riserva naturale privata,  ha messo in luce una realtà che molti ignorano, ma che esiste e bisogna conoscere: ai bordi del tessuto urbano di Roma (ed in certi casi anche nell’interno) esistono grandi aree di terreno coltivabile non valutato adeguatamente, talvolta addirittura incolto ed abbandonato in attesa di divenire preda della speculazione edilizia. Perché non valorizzarle, perché non investire su di esse?

Ascoltavo, alcuni mesi fa, l’esperienza degli ex dipendenti di una società elettronica: ingegneri e tecnici che, rimasti senza lavoro dall’oggi al domani a causa del fallimento dell’azienda, avevano preferito alla disoccupazione la sfida di improvvisarsi agricoltori. Con le loro famiglie erano riusciti a ricostruirsi un’attività dignitosa, assicurandosi un reddito vitale ed al tempo stesso riscoprendo dei ritmi di vita più naturali e sereni. Subito dopo il loro racconto, un gruppo di immigrati bengalesi raccontava di aver avuto in concessione alcuni lotti di terreno pubblico: mostravano alla gente, con evidente soddisfazione, un cesto di ortaggi curiosi e coloratissimi, che avevano prodotto spargendo fra le zolle di Roma le sementi del loro Paese d’origine.

Perché non puntare di più, non riporre più speranze e sostanze, non scommettere con un po’ di ottimismo sulla risorsa primaria dell’uomo? Perché non renderla più raggiungibile fornendo quei mezzi (irrigazione, accessibilità, possibilità di raccolta) che diano incentivo a chi desideri provare? Cosa ci sarebbe da perdere, una volta  che siano vigenti le norme necessarie a garantire che i provvedimenti funzionino e che non se ne faccia un uso distorto? Coltivare la terra procura cibo, questa è una verità innegabile.

Al di là delle pose snob di certi ambientalisti di maniera, che sbandierano la carta riciclata e poi gettano nell’immondizia il cibo che avanza, dando magari dell’assassina alla nonna impellicciata dopo aver cacciato il vicino con il cane dall’ascensore, rivalorizzare l’agricoltura favorendone una diffusione maggiore permetterebbe anzitutto di assorbire tanta mano d’opera esterna, che oggi viene sottoposta, in nome del bisogno estremo, allo sfruttamento avvilente del caporalato. Ed offrirebbe poi un terreno di impiego, umile e faticoso, certo, ma relativamente stabile e con la possibilità di svariate iniziative per chi ci si dedichi con intelligenza, a tanti giovani disoccupati in cerca, prima di ogni altra cosa, di dignità e di concretezza.

Il rapporto con la natura, il rispetto dei suoi tempi e dei suoi ritmi ha una grande valenza educativa: ci arricchisce interiormente comunicandoci il rispetto per il cibo, dono indispensabile per la continuità della vita stessa, ed il rispetto per il lavoro che ce lo garantisce. Due beni di cui oggi c’è veramente grande richiesta, che il mondo intero reclama a gran voce e che la crisi planetaria della produzione e dei consumi rende ogni giorno più difficili da ottenere.

 

        

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