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Relazione politica al comitato direttivo
-27 maggio 2011-
Che il PDL sia un partito carismatico, formatosi con l’avvento della seconda repubblica, la cui finalità era di semplificare il quadro politico, è cosa nota a tutti. Che inevitabilmente la guida di un soggetto di questa natura non possa essere affidata se non ad un leader riconosciuto dagli altri è altrettanto ovvio; l’alternativa è l’implosione o l’instabilità nella guida, basti vedere quello che succede nel centro-sinistra, in particolare nel PD.
Con la scomparsa della prima repubblica si sono modificati i canoni politici che la caratterizzavano: innanzitutto i partiti, intesi come luogo di mediazione e compromesso, dove la cogestione era la prassi (Cencelli alla mano) ma che assicuravano la rappresentanza delle diverse sensibilità, oggi sono sostituiti da oligarchie fedeli ad una monarchia elettiva.
I rapporti sono diventati personali e il leaderismo non tiene conto del peso politico che il singolo ha sul suo territorio (dal quale peraltro si sente svincolato), bensì della sua affidabilità. Egli infatti dovrà preoccuparsi esclusivamente del rapporto con il capo del suo partito, che è il detentore del simbolo della lista che lo ricandiderà.
Le formazioni che si contendono il governo della Nazione non lo fanno più in nome di “valori” da difendere, ma puntando sulla credibilità e la leadership del candidato premier che risulta più convincente.
La debolezza che fino ad oggi ha mostrato di avere il centro sinistra è stata infatti determinata dalla poca credibilità che i candidati scelti avevano presso gli elettori, e nel contempo dal mancato riconoscimento e dall’accettazione non unanime della scelta all’interno dello schieramento.
Il partito leggero che si è cercato di costruire non tutela, in primo luogo, i vecchi notabili dei partiti (ad esempio De Mita) ma ancor di meno chi, pur avendo il consenso elettorale (basta non presentare una lista, come per le regionali a Roma, e salta un’intera classe dirigente), non rientra nella rosa dei prescelti; da qui la necessità di tutelarsi con iniziative tese ad organizzare aggregazioni come fondazioni e simili, non tralasciando un aspetto che prima o poi si dovrà affrontare: la sostituzione di Berlusconi. Allo stato attuale delle cose, infatti, non vi è un soggetto in grado di coagulare nel centro destra il consenso unanime, e nessuno dei vari big si vede come il numero due di qualcun altro .
Il consenso elettorale che prima si rivolgeva a partiti politici per i valori che incarnavano (primi tra tutti comunismo e anticomunismo) si è ora spostato sulle poche persone che vediamo in televisione; con il risultato che i midia contribuiscono in modo determinante a formare il consenso della cosiddetta società civile, per intenderci quella composta dai non militanti, cioè da coloro che con la loro scelta determinano la maggioranza chiamata a governare.
La società civile infatti, proprio perché non stimolata più da fedi e ideali, si orienta in base alla percezione di credibilità che ha dei candidati.
Altro aspetto innovativo, rispetto al passato, è l’accresciuta identificazione territoriale da parte degli elettori, per gli interessi che spesso si contrappongono ed entrano in conflitto tra regioni o aree, e ciò sarà sempre più evidente: oggi per l’ospitalità agli immigrati clandestini, domani per la scelta del sito per una discarica piuttosto che per una centrale nucleare.
I rapporti tra cittadini e rappresentante politico sono cambiati: oggi un consigliere regionale è più incisivo di un parlamentare nazionale di seconda fila, e spesso anche di prima.
Si devono altresì considerare le nuove e ormai consolidate forme di governance, da quelle amministrative (regione, provincia, comune) che prevedono la scelta di governatore, presidente e sindaco a quella parlamentare, con l’indicazione del premier. Sono sistemi presenti anche in altri Paesi, ma che da noi hanno assunto una forma di monarchia elettiva perché nel dare un’investitura dal basso rendono questi soggetti molto forti nei confronti delle rispettive assemblee.
L’investitura diretta dei cittadini, quindi, se rafforza la figura apicale è motivo di frustrazione e rende contrattualmente deboli tutti gli altri eletti.
Questo è un aspetto che crea dissapori tra chi, forte del consenso tra gli elettori e quindi portatore di esso, rischia di vedersi superato nell’avere “un posto al sole” da chi possiede altri requisiti di carattere personale, e di essere percepito come un pasdaran sul proprio territorio. Ciò spinge chi ha sempre avuto un rapporto diretto con l’elettorato (e a questo fine dedica la propria attività) a ristabilire o riscrivere le regole delle elezioni.
Altro elemento molto importante è la presa di coscienza che i cittadini hanno dei loro diritti e di quello che chiedono alla politica: dalla buona amministrazione alla competenza, dalla intolleranza per i privilegi alla meritocrazia, dagli impegni presi ai risultati ottenuti.
Infine il problema dei molti disillusi, a cominciare dai giovani che sempre meno si accostano alla politica (senza entrare nel tema delle loro motivazioni, che sono molteplici): la prima causa di ciò è certamente la disillusione, lo scetticismo montante per qualcosa che ormai non “scalda” i loro sogni e non alimenta le loro aspettative.
Sono cittadini che, spinti da un comprensibile individualismo per assicurarsi la tranquillità, incontriamo nelle nuove piazze, i blog; internauti che discettano di politica spesso con la “pancia”. Chi guida oggi queste piazze? Chi si confronta con loro?
La distanza, la solitudine della politica oggi è molto più evidente e sentita di cinquanta anni fa, quando ci si avvicinava all’onorevole con il cappello in mano. Sempre più si ha una vita endogena, non si ricercano più i rapporti interpersonali o collettivi, l’altro fa paura, ci si fida solo di se stessi.
Eccetto il caso che un nuovo Berlusconi o un suo affine scenda in campo, non esiste allo stato attuale qualcuno che disponga di risorse economiche, comunicative e di leadership tali da metterlo in grado di ereditare l’intero patrimonio del centro destra.
Tremonti ha sempre sostenuto che Berlusconi non ha eredi, come Napoleone, cui non successe un delfino, ma un sistema: la Restaurazione.
Quindi la domanda non è chi verrà dopo di lui, ma che cosa.
Quali, quindi, potrebbero essere gli scenari e le possibili soluzioni nel panorama politico di domani?
E’ fortemente probabile che l’attuale quadro politico, così come si è costituito, possa scomporsi per una serie di cause che lentamente stanno portando il sistema ad una crisi irreversibile.
Gioca un gran ruolo la delusione nelle aspettative tradite, prima tra tutte quella delle grandi riforme mancate: dalle tasse all’opportunità di lavoro, dalla burocrazia alla giustizia, dal nepotismo e baronati alle caste degli ordini, delle corporazioni, dei politici e dei sindacati. Insomma, una vera rifondazione in termini di Stato sociale, federalismo, riscrittura della Carta Costituzionale, tutte iniziative indispensabili per rendere questo Paese al passo con gli altri .
La caduta del muro non doveva essere solo il crollo di un’ideologia e della contrapposizione est-ovest, ma anche la fine di una vecchia idea della politica che facesse posto ad un’idea nuova , ad un nuovo modo di farla: concetti questi che, pur essendo stati assorbiti dalla gente, non lo sono stati dalla classe politica.
Avrebbero dovuto trionfare la voglia di andare oltre, di abbattere gli steccati (almeno in un’Europa dove la democrazia e il valore delle libertà personali sono patrimonio condiviso), il riconoscere le ragioni “dell’altro” che può dire cose giuste su cui convenire, invece di osteggiarle perché non nostre sottraendosi al confronto per timore di soccombere; atteggiamento che è solo presunzione di infallibilità, caratteristico dei sovrani assoluti e di tutti coloro che, avvezzi a una deferenza senza limiti, provano di solito una fiducia totale nelle proprie opinioni.
Non si è capita fino in fondo la lezione di uno dei protagonisti del XX secolo, il Beato Giovanni Paolo II, sugli avvenimenti di quel periodo: aprirsi, andare incontro agli altri, riconoscere i propri errori senza per questo rinunciare al proprio credo.
Urgeva un cambio di passo, per far sì che la politica e i suoi rappresentanti non diventassero una cosa avulsa dal Paese; emblematica a tal proposito l’iniziativa abortita di Mario Segni, che dopo aver combattuto e criticato la DC si alleò con la stessa alla consultazione elettorale, trovando la bocciatura nelle urne. La voglia di novità e cambiamento premiò quella formazione che meglio di altre seppe interpretare questo bisogno.
A distanza di tempo, ancora oggi si ha la sensazione che tale bisogno non sia stato completamente appagato e che il cambio di passo sia diventato indispensabile.
Per fare ciò potremmo usare una parola oggi molto diffusa, tra i giovani e nelle reti: il termine giusto è CONDIVIDERE.
Significa confrontarsi continuamente, mettersi in discussione, far partecipare gli altri alla formazione di una tesi, per poi prendere una decisione, meglio se spiegandola, ed assumersene le responsabilità.
Se questa dovrà essere la forma, contenuti e modelli dovranno a loro volta essere riconsiderati.
L’anticomunismo, il Patto Atlantico, la guerra fredda, sono stati fattori che lungamente hanno costituito un collante largamente condiviso, capace di dare, anche se costringendoci talvolta a turarci il naso, una certa stabilità se non dei governi certamente della compagine governativa, e che ha assicurato un certo sviluppo e una certa governabilità anche se criticabile.
Oggi questo collante non esiste più, l’impegno politico o meglio l’interesse dei giovani per la politica scema, perché la vedono come una cosa sporca che infrange le loro idealità. L’appeal si sposta verso l’impegno per il sociale, mentre altri privilegiano l’esaltazione della ricchezza e dell’apparenza, e comunque l’esasperata ricerca del proprio interesse.
Le corde emozionali non sono più toccate dai modelli di società e di governo, la quotidianità ha preso il sopravvento sul futuro, l’adrenalina sul sogno, il tornaconto sul progetto.
Mettere al centro dell’agire politico il cittadino, restituirgli rispetto, rendere conveniente l’“essere bravi”, responsabilizzare ruoli e funzioni, sono gli ingredienti che possono riportare credibilità al sistema.
Senza credibilità non vi è autorevolezza e senza autorevolezza non ci sono regole: senza regole siamo una società destinata a scomparire.
Valori da condividere sono la dichiarazione dei diritti dell’uomo e la dottrina sociale della Chiesa, senza per questo creare un nuovo partito filocristiano, ma auspicando un incontro tra laici e credenti capace di riorientare il comportamento della persona sui temi forti della vita e della morte, ponendo nuove basi della religiosità e dell’etica. Questi possono essere i presupposti, se attuati e non solo dichiarati, su cui costruire un nuovo modello sociopolitico.
La politica deve tornare ad essere passione e disciplina. Dalla politica ci si devono aspettare fatti concreti, soluzioni efficienti, un passaggio netto dall’era dell’ideologie a quella del giudizio pratico; dobbiamo essere rappresentati da persone capaci e responsabili, che possano essere scelte dai cittadini ma anche e soprattutto valutate, alla fine del loro mandato, in base al servizio civico che abbiano reso.
E’ necessaria una trasformazione del nostro Paese in un’Italia più moderna, più efficiente, più equa e più giusta, nella quale vengano riaffermati i valori della persona e delle sue libertà.
I giovani, per il loro entusiasmo, dovrebbero essere in prima linea in quest’opera di rimodernamento, sostenuti ed accompagnati da coloro che, magari avanti con l’età, possano fornire quell’esperienza che a loro manca.
Per realizzare un simile progetto il modello che meglio si attaglia è un partito regionale, che assicurando una sussidiarietà e partecipazione orizzontale (quella dei cittadini) rappresenti, nel futuro senato regionale, gli interessi locali (sussidiarietà verticale).
Una tale formazione potrebbe avere anche una rappresentanza a livello nazionale dando vita ad una federazioni di partiti regionali.
Il Presidente
Alfio Pulvirenti
lungo ma non male....condivido gran parte di quanto detto
Di
L.C
(inviato il 09/06/2011 @ 09:45:24)
Ottima relazione. Siamo ormai alla fine di un epoca. La seconda repubblica forgiata dal tubo catodico unidirezionale sta lasciando il passo alle piazze virtuali di internet e del mondo interconnesso, dove i singoli hanno voglia di esprimersi e di partecipare anche se in forme inconsuete. Dove andremo è presto per dirlo. Per ora, la sensazione è che nessuno degli attori politici attuali sta cogliendo appieno le novità. Le ultime amministrative, ad esempio, hanno sancito la sconfitta delle illusioni e delle promesse effimere ma non hanno decretato un vincitore, nessun voto 'contro' lo ha mai fatto, e la vittoria della sinistra è stata solo un effetto collaterale momentaneo. Il futuro potrà essere guidato solo da chi sarà in grado di comprenderlo prima e meglio degli altri.
Di
G
(inviato il 10/06/2011 @ 12:23:06)
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