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Ogni volta che gioca la nazionale di calcio ed ogni qualvolta vice un nostro campione, ci godiamo,con l’oro, la prima strofa dell’inno. Già, ci si ferma alla prima perché amiamo ripetere meno quello che Mameli, ed ancora prima Dante, dice dalla seconda in poi: “ Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi “. Non parliamo poi del seguito , con la “cultura” laica imperante non è possibile condividere l’incitamento: “Uniamoci, uniamoci, l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore”.
Ma chi ha mai voglia di percorrere le vie del Signore in una società fondata sul tornaconto personale?
Ma non basta, il ragazzo di Portoria non lo si può identificare con bambini italiani. Il termine, usato da Mussolini, vieta di ricordare il Balilla di Genova che, lanciando un sasso contro le truppe asburgiche, nel 1746 diede inizio alla rivolta che liberò la città occupata dagli austriaci.
Nel resto del testo si trovano altre esortazioni che ancora oggi sono attuali. Basti pensare alle “spade vendute” che facilmente potremmo identificare in quei comunicatori antipatrioti che dobbiamo sperare si “piegano come giunchi”.
E in un contesto più all’allargato, europeo, non possiamo restare inerti, mentre l’orso di Russia che sta sostituendo l’aquila d’Austria, abbevera il cosacco con il sangue dell’Ucraina piuttosto che con quello di Polonia.
Nonostante il cantare, anche a squarciagola, dell’inno di Mameli sembra proprio che l’Italia non sia ancora desta, ma continui nel suo torpore a ciondolarsi alla “volemose bene”.
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